sabato 26 gennaio 2013

27 Gennaio: il giorno della memoria



Per non dimenticare...

In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.
 Noi sappiamo che in questo difficilmente saremo compresi, ed è bene che così sia. Ma consideri ognuno, quanto valore, quanto significato è racchiuso anche nelle più piccole nostre abitudini quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più umile mendicante possiede: un fazzoletto, una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara. Queste cose sono parte di noi, quasi come membra del nostro corpo; né è pensabile di venirne privati, nel nostro mondo, chè subito ne ritroveremmo altri a sostituire i vecchi, altri oggetti che sono nostri in quanto custodi e suscitatori di memorie nostre.
 Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della  sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine “Campo di annientamento”, e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo.

Da Se questo è un uomo (Primo Levi)


Io, Elisa Springer, ho visto Dio. Nel fumo di Birkenau, che alzava al cielo il dolore del mondo, e spargeva sulla terra l’odore acre della sofferenza. Ho visto Dio.
Ho visto Dio, percosso e flagellato, sommerso dal fango, inginocchiato a scavare dei solchi profondi sulla terra, con le mani rivolte verso il cielo, che sorreggevano i pesanti mattoni dell’indifferenza.
Ho visto Dio dare all’uomo forza, per la sua disperazione, coraggio alle sue paure, pietà alle sue miserie; dignità al suo dolore.
Poi… lo avevo smarrito, avvolto dal buio dell’odio e dell’indifferenza, dalla morte del mondo, dalla solitudine dell’uomo e dagli incubi della notte che scendeva su Auschwitz.
Lo avevo smarrito… insieme al mio nome, diventato numero sulla carne bruciata, inciso nel cuore con l’inchiostro del male, e scolpito nella mente, dal peso delle mie lacrime.
Lo avevo smarrito… nella mia disperazione che cercava un pezzo di pane, coperta dagli insulti, le umiliazioni, gli sputi, resa invisibile dall’indifferenza, mentre mi aggiravo fra schiene ricurve e vite di morti senza memoria.
Ho ritrovato Dio…mentre spingeva le mie paure al di là dei confini del male e mi restituiva alla vita, con una nuova speranza: io ero viva in quel mondo di morti.
Dio era lì, che raccoglieva le mie miserie e sollevava il velo della mia oscurità.
Era lì, immenso e sconfitto, davanti alle mie lacrime.

Io ho vissuto per non dimenticare quella parte di me, rimasta nei lager, con i miei vent’anni. Ho vissuto per difendere e raccontare l’odore dei morti che bruciavano nei crematori, per difendere la memoria di tutti i miei cari e di tanti innocenti, memoria che oggi si tenta ancora di infangare.
Ho vissuto per raccontare che le ferite del corpo si rimarginano col tempo, ma quelle dello spirito mai. Le mie sanguinano ancora.
Nostra è, ancora oggi, e sempre, la sofferenza di quel tempo, il nostro camminare avanti, fra mille difficoltà. Abbiamo vissuto la degenerazione, la nostra “vita indegna”, ma siamo sopravvissuti, cercando di cancellare la nebbia e il buio, dalla nostra mente.
I nostri figli, tutto questo lo hanno già compreso, lo portano nel cuore. La nostra sofferenza, il nostro disagio, il nostro bisogno di riscatto, sono diventati la loro eredità. I nostri figli soffrono il nostro passato. I nostri figli soffrono, oggi, il nostro malessere, le nostre ansie, le nostre paure.
Gli altri sappiano che dalle macerie della nostra esistenza, sono nati loro, i nostri figli, stelle che abbiamo seguito per tutta la vita, con tutte le forze e che rappresentavano il riscatto, la vita che continua, nonostante tutto, la storia che va raccontata, che loro devono raccontare.

Da Il silenzio dei vivi ( Elisa Springer )

venerdì 7 dicembre 2012

Commenti a Un sogno da ritrovare

Questi sono due dei commenti lasciati sulla pagina del mio romanzo...
li pubblico anche qui e ne approfitto per ringraziare ancora una volta 
tutti quelli che hanno apprezzato Un sogno da ritrovare.
Grazie!

Ci sono alcuni libri che si lasciano scoprire pagina dopo pagina e non si vorrebbe finissero mai. E’ questo il caso di "Un sogno da ritrovare". Un libro delicato, poetico in alcune parti che parla di sentimenti con una delicatezza che al giorno d’oggi raramente si trova. Complimenti Letizia. Lo consiglio.
(Sara Magagnotti)


Un romanzo delicato, poetico,che si alterna tra il reale e il sogno.A volte toccante.Scritto bene,si legge tutto di un fiato,incuriosisce, emoziona.Oggi giorno sono poche le persone che nello scrivere hanno questa caratteristica. Brava Letizia Salomone auguro a te una possibile e lunga carriere da scrittrice.
(Angela Giovinco)

Eravamo in una città nuova. Conoscevamo gente nuova. Respiravamo aria nuova. Ma Sigismondo era sempre lo stesso. Nulla in lui era cambiato. E quel passato che tanto avrebbe voluto scrollarsi di dosso, era ancora lì. Nuove domande facevano capolino tra i suoi pensieri mettendo totalmente in discussione ciò che era. E la sua strada. Ecco, era proprio quello il punto. Proseguire o deviare. Si sentiva immobilizzato da una valanga di sensazioni opposte che venivano giù incessanti e incuranti di ciò che avrebbero sradicato e cambiato per sempre con il loro passaggio.
Passava le sue giornate a camminare per le strette stradine d’oltrarno. Sentiva il bisogno di perdersi per poi ritrovare la strada del ritorno. Osservava volti e ascoltava voci sconosciute. In ognuna cercava di trovare quel qualcosa di familiare che lo facesse sentire meno solo. E quando solo si sentiva davvero, ritornava in luoghi conosciuti dove incontrava quei volti divenuti familiari nel breve periodo trascorso in quella città. A volte rientrava a casa. Lì c’era sempre Lorenzo ad aspettarlo. E quel bambino, devo dire, era diventato un punto fondamentale nella sua esistenza.

Da "Un sogno da ritrovare"

mercoledì 7 novembre 2012

Il "momento giusto"...?


 Ci sono momenti nella vita in cui capita quel che non ti aspetti. Succede quasi sempre quando non si è pronti, quando non ci si trova nel cosiddetto “momento giusto”. Mi son sempre chiesta se esiste davvero un momento giusto per ogni cosa, o siamo solo noi a decidere come muovere il filo che regge la nostra vita.
  Mi è passata allora davanti l’immagine di quel treno che in molti perdono ad esempio ogni volta che ci si lascia sfuggire un’occasione…e, come se riuscissi a vedere esattamente quel che accade, le immagini di una donna ai bordi di un binario cominciano a crearsi nella mente…

 Il vento freddo di quella mattina s’insinuava prepotente nei suoi capelli e nelle ossa. Seduta ai bordi del binario cinque, era immersa nel groviglio di pensieri che da giorni le occupavano la mente. Tra le mani racchiudeva un volto impossibile da osservare. Era un’immagine impenetrabile.
 Da lontano il rumore stridente di rotaie lasciò che quelle mani si aprissero per guardare oltre il muro che aveva innalzato. Osservava il treno che davanti a se si muoveva. Lo vedeva passare ma le sue gambe erano pesanti per riuscire a muoversi, per portare il peso di quel corpo a pochi metri dal punto in cui era. Quel treno era lì, a poca distanza da lei, eppure lo osservava senza riuscire a fare nulla per poter salire su.
Lo vide solo ripartire. Poi le sue mani tornarono sul volto. Quel momento era il suo momento. Sbagliato forse, ma pur sempre suo. 

...lo so...è arrivata l'ora di crearmi un altro blog! :)

Letizia

lunedì 5 novembre 2012

Legami d'amore



Come ho già fatto in altre due occasioni su questo blog, mi prendo un piccolo spazio per parlare di altro.
Di un libro… Legami d’amore di Maria Rosa Nuvoletta.
In questo spazio parlo spesso di sogni e del sogno di Sigismondo.
Un sogno da ritrovare. Da afferrare. Ma anche del vivere di sogni, del non abbandonarli
 perché mantengono la fiamma ardente nelle nostre anime.
Non ho mai parlato di sogni infranti. Di quelli lasciati in un cassetto. Di quelli dimenticati perché dolorosi. 
Di quelli che hanno smesso di volare perché le ali e il respiro delle persone 
che li portavano in alto hanno smesso di esistere.
Legami d’amore è la storia di due fratelli, Barbara e Vito, 
di un legame che supera ogni barriera e che rimane sempre lì, 
vivo e pulsante, fino alla fine e oltre la morte.  
Barbara e Vito sono figli di un boss della camorra.
Due figli in bilico tra il bene e il male, costretti a vivere una vita distante da loro,
 costretti tra l’amore e il dolore, diventati altro… 
Vedranno allontanarsi i loro sogni senza poter far nulla per fermarli… soli con un destino segnato…
Questo è uno dei passaggi che più mi ha toccata… 

***

Quanto male, sorella mia. Che freddo, che gelo.
Che c’entriamo tu e io con questa gente?
Che sangue è questo che ci scorre nelle vene?
Cosa ci facciamo noi qui?
Rinnegare, restare, scappare, pregare, bestemmiare?
Come faccio a vivere con questa cosa dentro?
Come faccio a respirare, a guardare il mare, a sentire
gli odori senza avvertire il fetore, a mangiare senza
provare disgusto, ad amare senza detestare, a parlare
senza ammutolire come Sonia, a camminare senza
indugiare, a sorridere senza lasciar scorrere il pianto?
Come si riscatta tutto questo?
Di chi siamo figli, di cosa siamo fatti?
Come faremo a continuare a essere diversi da loro,
portando lo stesso nome e lo stesso terribile destino?
Come farò a non odiare me stesso per non avere il coraggio?
Come farò ad amare Andrea senza sentirmi complice
del Male, a esserti fratello senza averti protetta, a
essere figlio senza maledire tutta la mia stirpe?
Ti lascio sola ad affrontare ciò che non sai. Ti lascio a
comprendere l’incomprensibile. A vivere nel terrore.
Ti lascio in guerra, in tempo di pace.
‘Sono finite le ore.’ E’ la frase che ripetevi quella notte,
nel delirio, mentre ti accarezzavo. Ci penso sempre.
Don Armando Cortese, nostro padre, mi manda via.
Un uomo d’onore non può reggere la vergogna di un
figlio omosessuale e pure coniglio. Il figlio di Cortese
deve essere un uomo, fedele alla legge dell’omertà.
Non essendo né l’uno né l’altro è necessario che sparisca,
che mi nasconda, e che sia riconoscente per aver
avuto salva la vita grazie al privilegio di essergli figlio.
Così mi allontana in cambio della vita.
La mia vita, ma anche quella di Andrea.
Sogghigna il Male, mentre gioca con i destini come
fossero birilli da far cadere in un sol colpo sul tavolo
da biliardo.
Scommette. Vince.
Vincono, sorella mia, non c’è gioco. Bisogna ritirarsi.
Ma esiste un luogo in cui i vinti hanno dignità? C’è un
posto nel quale si possa sfuggire al proprio disgusto?
Il mondo per noi è diviso in due: quelli che ci lusingano
e quelli che ci schifano, ma per entrambi siamo
solo un cognome.
Tutto accade nostro malgrado: la diffidenza, il cinismo,
la mancanza di speranza, la fine di ogni sogno,
la caduta degli ideali, la solitudine, l’essere orfani per
una guerra maligna.
Dov’è finito l’amore di Massimo? Dove finirà l’amore
di Andrea?
E il nostro amore, dove andrà a finire?
Nel rimpianto di ciò che poteva accadere e non è mai
successo.
E’ un luogo stretto questo, dove si soffoca. Dove nessuno
ti riconosce perché diventi altro da te stesso.
C’è stato un tempo in cui ci siamo ritrovati in mezzo
al fango, a condividere l’impegno civile, a proteggere
la storia di una città, a mangiare pane e mortadella
nelle cuccette di un treno fermo trasformato in
ostello. Eravamo sporchi di sporcizia pulita.
C’era un tempo in cui eravamo fieri di chiamarci Cortese
perché quel nome firmava biancheria fatta a mano
e pagava onestamente il nostro pane.
L’unica cosa che lega quel tempo a questo è il bene che
ti voglio, un bene silenzioso, attento, discreto, che fa vicina
la lontananza, che rende certi nell’indecisione, che
sa senza parlare tanto.
Forse non sono riuscito ad amare nessuna donna
perché non reggeva il confronto con l’amore che ho per te.

                                                                                Vito

mercoledì 31 ottobre 2012

Un gioco che lega i due oltre il confine della morte.


“ Vedi Sigismondo, ognuno di questi libri possiede in sé qualcosa di unico e speciale. Ognuno di loro può essere un caro amico. Può indicarti una strada giusta da seguire, un pensiero da accogliere e donare, un mondo difficile da visitare o meraviglioso da immaginare! ” Era così affascinante il suo modo di fare e di parlare che Sigismondo ne era totalmente catturato. E i ricordi, ancora adesso, gli davano le stesse sensazioni di un tempo. Forse era anche per questo, per i ricordi, che negli ultimi tempi tornava spesso nella sua vecchia casa, dove madre e fratello ancora vivevano. Tornava in quel posto per rimanere chiuso per ore in una sola stanza. La loro stanza. La stanza in cui lui e suo padre si rifugiavano per ore intere a leggere quell’infinità di libri, che ancora oggi invadevano la vecchia libreria, e in parte, la sua nuova casa. Il profumo che avvolgeva quel mondo racchiuso tra le quattro mura era inconfondibile. Odore freddo del buio, vecchio di legno, fresco di luce, caldo di carta. Un odore misto al ricordo di un padre che rimarrà vivo per sempre. O forse era lui stesso a mantenerlo ancora in vita, a non lasciarlo andare in quell’angolo dei ricordi nella memoria che voi tutti possedete. Ma questa è una storia diversa. E’ un legame diverso. Un distacco diverso, che implica il totale coinvolgimento di un figlio in un gioco che lega i due oltre il confine della morte. Sigismondo non riusciva ancora a staccarsi da quella figura. Non riusciva, o non credeva di riuscire ad affrontare la vita da solo, senza quella che per lui era stata da sempre una guida.
Ritornava quindi in quella stanza per ripercorrere ogni singolo giorno passato insieme. Non tralasciava nulla. Nessun dettaglio, nessuna sfumatura. Era un ritorno al passato il suo. Riviverlo, per poter godere ancora, e ancora, di quei meravigliosi istanti di vita passati con lui.

Da "Un sogno da ritrovare"

lunedì 22 ottobre 2012

Un grazie a voi!

 Stasera vorrei fare una cosa. Qualcosa che faccio spesso ma non abbastanza...
Dire grazie!
Grazie a tutti quelli che hanno letto Un Sogno da Ritrovare...
a tutti quelli che leggono i singoli post lasciati sia su questo blog che sulle mie pagine Facebook...
a tutti quelli che mi hanno scritto quanto le mie pagine li abbiano colpiti...
a tutti quelli che lo acquisteranno...

Grazie!!
Grazie davvero!!!


La chiave nella serratura faceva fatica a girare. Fece piano per non disturbare il silenzio della notte e pensò che l'indomani avrebbe trovato una soluzione. Non appena fu entrato, un profumo intenso lo invase. Gli ricordò qualcosa, anche se in quel momento non capiva cosa. Attraversò il salotto e, dopo essersi tolto i vestiti e fatto una veloce doccia, sprofondò sulla poltrona, convinto di rimanerci pochi minuti per poi andare a letto. Guardò l'ora. Erano le due.
Gli occhi si fecero pesanti fino a chiudersi.
Buonanotte gli sussurrai.

Notte... :)
Letizia

sabato 20 ottobre 2012

Non c'è un'età per sognare, nè una per amare...

...Sigismondo e sua madre si erano seduti. Lei sulla poltrona e lui, lì accanto, sul tappeto.
"Dimmi, come stai?" chiese lei al figlio.
"Non avrei dovuto urlare in quel modo poco fa. E' solo che..." e abbassò lo sguardo a terra.
"Lo so! So quanto ti manca!" aggiunse lei accarezzandolo. "Sai, più passa il tempo, più gli assomigli. Sei diverso. Proprio come lui."
"Diverso? Perché diverso?" e abbassando ancora una volta la testa disse: "Questa è una di quelle parole che ti relegano in un angolo!"
Un velo di tristezza calò sul suo volto. Poi, guardando negli occhi sua madre, continuò.
"Mamma, non uasare quella parola. Vorrebbe dire mettere una linea di confine tra te e me, tra te e gli altri, ed io non voglio!"
..."Forse è me che relego in un angolo, non te!"
"Allora non farlo!"
"Sai, una volta non ero così. Quanto sono cambiata negli anni. E la perdita di tuo padre non mi aiuta di certo" ... "forse non l'ho mai avuto. Forse l'ho avuto solo per pochi attimi!"
Sigismondo era lì accanto a lei, immobile ad ascoltare quelle parole nuove. Mai accennate. Mai da lui comprese. Sua madre stava aprendo in qualche modo il suo cuore e a lui, non rimaneva altro da fare, se non accompagnarla per mano in quel viaggio dell'anima.
... "Sai cosa ti direbbe papà?"
"Cosa?"
"Ti direbbe che hai smesso di sognare!"
E lei, con un leggero sorriso ad illuminare il viso: "Tesoro mio, non ho più l'età per farlo!"
"Mamma, non c'è un'età per sognare! Non c'è un'età per Amare!"
"Tuo padre sarebbe fiero di te!"

Da "Un Sogno da Ritrovare"

lunedì 15 ottobre 2012

Non voglio sapere come hai fatto a trovarmi, nè come sei arrivata fin qui. Sono felice di vederti.


...lei era in piedi e lo guardava senza riuscire ad emettere nessun suono. Quando la vide rimase impietrito. “Sei tu?” furono le uniche parole che riuscì a trovare.
“Si!”...”Scusami se sono piombata qui in casa tua ma...”
“No, non scusarti!” e avvicinatosi a lei toccò le sue labbra con due dita e disse ancora: “non scusarti!”. Quell'istante sembrò durare un tempo infinito.
“Non voglio sapere come hai fatto a trovarmi, né come sei arrivata fin qui. Sono felice di vederti.”
“Mi spiace se ieri sono...” cercò di dire lei, ma le labbra di Sigismondo si erano già poggiate sulle sue e nessuna spiegazione o parola, in quel momento, riuscirono a fermare quello che entrambi desideravano fortemente. Le loro mani cominciarono a sfiorare quei corpi sconosciuti. Ad occhi chiusi s'immersero nel profumo della loro pelle, nel sapore di quel bacio. Piano si sfilarono quel che avevano addosso lasciando i loro corpi nudi stringersi e scaldarsi. Lei, aveva ancora al collo il lungo foulard verde. Lui glie lo sfilò. Lo annusò cercando di trattenere quel buon odore e poi, lo lasciò cadere.

domenica 7 ottobre 2012

Se non ci credi, non lo troverai!


“Forse hai ragione. Forse non siamo mai stati realmente innamorati io ed Ettore. O meglio, non abbiamo mai conosciuto realmente l'Amore. Quello profondo. Ma io non credo che non possa essere eterno. Questo no. Credo che, quando due cuori fatti per crearne uno soltanto s'incontrino, non c'è nulla che possa allontanarli. Nemmeno il trascorrere del tempo. …
Ormai nessuno più crede nell'Amore. … Forse è questo il punto.
Se non siamo i primi noi a credere in lui, mi spieghi come possiamo pretendere che duri in eterno? 
Se non ci credi, non lo troverai!
Da Un Sogno da Ritrovare