Per non dimenticare...
In un attimo, con intuizione quasi
profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così
non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile.
Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se
parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci
toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la
forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi
quali eravamo, rimanga.
Noi sappiamo che in questo difficilmente
saremo compresi, ed è bene che così sia. Ma consideri ognuno, quanto valore,
quanto significato è racchiuso anche nelle più piccole nostre abitudini
quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più umile mendicante possiede: un fazzoletto,
una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara. Queste cose sono parte
di noi, quasi come membra del nostro corpo; né è pensabile di venirne privati,
nel nostro mondo, chè subito ne ritroveremmo altri a sostituire i vecchi, altri
oggetti che sono nostri in quanto custodi e suscitatori di memorie nostre.
Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le
persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto
infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a
sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade
facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si
potrà a cuor leggero decidere della sua
vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più
fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il
duplice significato del termine “Campo di annientamento”, e sarà chiaro che cosa
intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo.
Da Se questo è un uomo (Primo Levi)
Io, Elisa Springer, ho visto Dio. Nel
fumo di Birkenau, che alzava al cielo il dolore del mondo, e spargeva sulla
terra l’odore acre della sofferenza. Ho visto Dio.
Ho visto Dio, percosso e flagellato,
sommerso dal fango, inginocchiato a scavare dei solchi profondi sulla terra,
con le mani rivolte verso il cielo, che sorreggevano i pesanti mattoni dell’indifferenza.
Ho visto Dio dare all’uomo forza, per
la sua disperazione, coraggio alle sue paure, pietà alle sue miserie; dignità
al suo dolore.
Poi… lo avevo smarrito, avvolto dal
buio dell’odio e dell’indifferenza, dalla morte del mondo, dalla solitudine
dell’uomo e dagli incubi della notte che scendeva su Auschwitz.
Lo avevo smarrito… insieme al mio
nome, diventato numero sulla carne bruciata, inciso nel cuore con l’inchiostro
del male, e scolpito nella mente, dal peso delle mie lacrime.
Lo avevo smarrito… nella mia
disperazione che cercava un pezzo di pane, coperta dagli insulti, le
umiliazioni, gli sputi, resa invisibile dall’indifferenza, mentre mi aggiravo
fra schiene ricurve e vite di morti senza memoria.
Ho ritrovato Dio…mentre spingeva le
mie paure al di là dei confini del male e mi restituiva alla vita, con una
nuova speranza: io ero viva in quel mondo di morti.
Dio era lì, che raccoglieva le mie
miserie e sollevava il velo della mia oscurità.
Era lì, immenso e sconfitto, davanti
alle mie lacrime.
Io ho vissuto per non dimenticare
quella parte di me, rimasta nei lager, con i miei vent’anni. Ho vissuto per
difendere e raccontare l’odore dei morti che bruciavano nei crematori, per
difendere la memoria di tutti i miei cari e di tanti innocenti, memoria che
oggi si tenta ancora di infangare.
Ho vissuto per raccontare che le
ferite del corpo si rimarginano col tempo, ma quelle dello spirito mai. Le mie
sanguinano ancora.
Nostra è, ancora oggi, e sempre, la
sofferenza di quel tempo, il nostro camminare avanti, fra mille difficoltà.
Abbiamo vissuto la degenerazione, la nostra “vita indegna”, ma siamo
sopravvissuti, cercando di cancellare la nebbia e il buio, dalla nostra mente.
I nostri figli, tutto questo lo hanno
già compreso, lo portano nel cuore. La nostra sofferenza, il nostro disagio, il
nostro bisogno di riscatto, sono diventati la loro eredità. I nostri figli
soffrono il nostro passato. I nostri figli soffrono, oggi, il nostro malessere,
le nostre ansie, le nostre paure.
Gli altri sappiano che dalle macerie
della nostra esistenza, sono nati loro, i nostri figli, stelle che abbiamo
seguito per tutta la vita, con tutte le forze e che rappresentavano il
riscatto, la vita che continua, nonostante tutto, la storia che va raccontata,
che loro devono raccontare.
Da Il silenzio dei vivi ( Elisa
Springer )
Nessun commento:
Posta un commento