Come ho
già fatto in altre due occasioni su questo blog, mi prendo un piccolo spazio
per parlare di altro.
Di un
libro… Legami d’amore di Maria Rosa Nuvoletta.
In
questo spazio parlo spesso di sogni e del sogno di Sigismondo.
Un
sogno da ritrovare. Da afferrare. Ma anche del vivere di sogni, del non
abbandonarli
perché mantengono la fiamma ardente nelle nostre anime.
Non ho
mai parlato di sogni infranti. Di quelli lasciati in un cassetto. Di quelli
dimenticati perché dolorosi.
Di quelli che hanno smesso di volare perché le ali
e il respiro delle persone
che li portavano in alto hanno smesso di esistere.
Legami
d’amore è la storia di due fratelli, Barbara e Vito,
di un legame che supera
ogni barriera e che rimane sempre lì,
vivo e pulsante, fino alla fine e oltre
la morte.
Barbara e Vito sono figli di
un boss della camorra.
Due
figli in bilico tra il bene e il male, costretti a vivere una vita distante da
loro,
costretti tra l’amore e il dolore, diventati altro…
Vedranno allontanarsi
i loro sogni senza poter far nulla per fermarli… soli con un destino segnato…
Questo
è uno dei passaggi che più mi ha toccata…
***
Quanto
male, sorella mia. Che freddo, che gelo.
Che
c’entriamo tu e io con questa gente?
Che
sangue è questo che ci scorre nelle vene?
Cosa ci
facciamo noi qui?
Rinnegare,
restare, scappare, pregare, bestemmiare?
Come
faccio a vivere con questa cosa dentro?
Come
faccio a respirare, a guardare il mare, a sentire
gli
odori senza avvertire il fetore, a mangiare senza
provare
disgusto, ad amare senza detestare, a parlare
senza
ammutolire come Sonia, a camminare senza
indugiare,
a sorridere senza lasciar scorrere il pianto?
Come si
riscatta tutto questo?
Di chi
siamo figli, di cosa siamo fatti?
Come
faremo a continuare a essere diversi da loro,
portando
lo stesso nome e lo stesso terribile destino?
Come
farò a non odiare me stesso per non avere il coraggio?
Come
farò ad amare Andrea senza sentirmi complice
del
Male, a esserti fratello senza averti protetta, a
essere
figlio senza maledire tutta la mia stirpe?
Ti
lascio sola ad affrontare ciò che non sai. Ti lascio a
comprendere
l’incomprensibile. A vivere nel terrore.
Ti
lascio in guerra, in tempo di pace.
‘Sono
finite le ore.’ E’ la frase che ripetevi quella notte,
nel
delirio, mentre ti accarezzavo. Ci penso sempre.
Don
Armando Cortese, nostro padre, mi manda via.
Un uomo
d’onore non può reggere la vergogna di un
figlio
omosessuale e pure coniglio. Il figlio di Cortese
deve
essere un uomo, fedele alla legge dell’omertà.
Non
essendo né l’uno né l’altro è necessario che sparisca,
che mi
nasconda, e che sia riconoscente per aver
avuto
salva la vita grazie al privilegio di essergli figlio.
Così mi
allontana in cambio della vita.
La mia
vita, ma anche quella di Andrea.
Sogghigna
il Male, mentre gioca con i destini come
fossero
birilli da far cadere in un sol colpo sul tavolo
da
biliardo.
Scommette.
Vince.
Vincono,
sorella mia, non c’è gioco. Bisogna ritirarsi.
Ma
esiste un luogo in cui i vinti hanno dignità? C’è un
posto
nel quale si possa sfuggire al proprio disgusto?
Il
mondo per noi è diviso in due: quelli che ci lusingano
e
quelli che ci schifano, ma per entrambi siamo
solo un
cognome.
Tutto
accade nostro malgrado: la diffidenza, il cinismo,
la
mancanza di speranza, la fine di ogni sogno,
la
caduta degli ideali, la solitudine, l’essere orfani per
una
guerra maligna.
Dov’è
finito l’amore di Massimo? Dove finirà l’amore
di
Andrea?
E il
nostro amore, dove andrà a finire?
Nel
rimpianto di ciò che poteva accadere e non è mai
successo.
E’ un
luogo stretto questo, dove si soffoca. Dove nessuno
ti
riconosce perché diventi altro da te stesso.
C’è
stato un tempo in cui ci siamo ritrovati in mezzo
al
fango, a condividere l’impegno civile, a proteggere
la storia
di una città, a mangiare pane e mortadella
nelle
cuccette di un treno fermo trasformato in
ostello.
Eravamo sporchi di sporcizia pulita.
C’era
un tempo in cui eravamo fieri di chiamarci Cortese
perché
quel nome firmava biancheria fatta a mano
e
pagava onestamente il nostro pane.
L’unica
cosa che lega quel tempo a questo è il bene che
ti
voglio, un bene silenzioso, attento, discreto, che fa vicina
la
lontananza, che rende certi nell’indecisione, che
sa
senza parlare tanto.
Forse
non sono riuscito ad amare nessuna donna
perché
non reggeva il confronto con l’amore che ho per te.
Vito
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